Dove c’è musica non è soltanto pop. E’ anche rock, swing, jazz e qualsiasi cosa faccia musica. E allora segnaliamo volentieri un bell’album italiano. Si chiama “Colors” ed è il primo lavoro del pianista bellunese Luca Poletti e del suo trio, accompagnato da un singolo che ha lo stesso nome, che oltre alla parte strumentale ha un inciso cantato da una vocalist e che vede la collaborazione del grande trombettista jazz Paolo Fresu.
Diciassette pezzi intervallati da Preludi (di cui due scritti da Fresu), un’intrigante eterogeneità di fondo e la freschezza delle intenzioni rendono Colors un album sincero e piacevole, con brani che rivelano storie personali e sensazioni: “Raining Grey – dice l’artista – esprime ciò che mi trasmette la città di Trento e la mia curiosità per compositori come Luciano Berio, Sirene la mia passione viscerale per l’armonia, Strolling Around la leggerezza del vagare senza meta e le meravigliose sonorità ECM, This Is For You una parte molto importante del mio cuore come Leo, brano dal sapore pop dedicato al mio nipotino. Ho sperimentato alcune soluzioni free in Bastian oirartnoC, in Preludio e fuga (dalla realtà) invece è uscita la parte più intima e fumosa del jazz, in Sold 20% emerge la mia passione per il funk nero con una strizzata d’occhio ai Tower of Power”.
Nato a Belluno nel 1986, Luca Poletti ha una carriera già sorprendente: laureato in pianoforte, musica jazz, strumentazione e composizione per banda a Trento, ha vinto numerosi festival internazionali, ha collaborato con colossi del calibro di Uri Caine, Steve Swallow, Bruno Tommaso . Registrato da Stefano Amerio agli Artesuono in compagnia di Fresu e del trio di Poletti, Colors riassume bene il mondo sonoro caro al pianista: “La varietà stilistica è stata una scelta quasi obbligata per via dei miei interessi musicali che vanno da Monteverdi a Charlie Parker passando per i Pink Floyd, Herbie Hancock, Mingus e i Led Zeppelin. Per me il Jazz, in fondo, è proprio questo, sintetizzare ed esprimere il proprio mondo cercando di essere ascoltatore attento del proprio presente“.
Un testo che riassume al meglio al vita dell’artista. Sopratutto di quelli emergenti, di talento che magari non hanno una major dietro, vorrebbero vivere di musica ma non ce la fanno. Nasce così “Gli artisti”, il primo singolo di Luca Pirozzi & Musica da Ripostiglio, che anticipa l’uscita del loro primo album che porta lo stesso titolo del singolo.
Lo swing che si fa pop, senza piegarsi più di tanto al crossover. Ne esce una miscela interessante, un pò antica e un pò no, che fa riscoprire sonorità un pò messe da parte. Dicono nelle loro note: “L’aspirazione iniziale del gruppo era quella di affrontare il repertorio di Luca Pirozzi in chiave cameristica..Ma, aimhè, visti i tempi che corrono e le magre che girano, la loro musica è diventata…da ripostiglio.Il gruppo sul palco diverte, improvvisa, emoziona, ma soprattutto suona e lo fa con molta freschezza e semplicità. Le atmosfere, decisamente retrò, cavalcano lo swing dei primi anni del secolo scorso con influenze gitane e francesi, passando per sirtaki, walzer, tango e bolero”.
Per loro ci sono già state una tournée in Brasile, per l’associazione Cuore del Mondo, e concerti nel Mali, al Festival Tuareg e all’istituto di cultura italiana di Londra e Cambridge ma è soprattutto in Italia che si sono fatti conoscere, in rassegne come Umbria Folk festival, Sarteano Jazz Festival e alla Giornata Mondiale della Gioventù del 2000. Ora arriva il primo album, con la speranza che possa far breccia nel pubblico.
Non solo “Nel blu dipinto di blu”. Nel mondo c’è un’altra canzone italiana famosissima, che non avrà vinto il Grammy come il pezzo di Modugno ma è stata ugualmente coverizzata da alcuni dei più grandi artisti internazionali, sino a diventare il simbolo italiano di un genere, il jazz. Il riferimento è ad “Odio l’estate”, altrimenti nota come “Estate”, anno 1960, parole di Bruno Brighetti, musica e voce di Bruno Martino.
E’ a questa canzone ed al suo interprete, il più popolare portavoce dello standard jazz italiano che Paola De Simone, giornalista musicale, direttrice di Popon, il giornale della musica italiana e speaker di Radio In Blu ha dedicato un libro. “Odio l’estate”, appunto. Un viaggio dentro la canzone ed il suo interprete raccontato da chi l’ha avuto vicino e da chi invece l’ha conosciuto attraverso le sue canzoni.
Il 12 giugno sono trascorsi 10 anni dalla morte del grande Bruno Martino. Ma le motivazioni che hanno dato origine al volume non sono soltanto queste.
Infatti è così e anzi quella è stata soltanto una felice coincidenza. Il libro è nato prima di tutto per una mia esigenza, che mi portavo dietro dal 2003: volevo leggere qualcosa sul jazz e sulla figura di Bruno Martino, ma in giro non trovavo niente. Così ho deciso di scrivere di mio pugno. L’occasione della collana Donzelli che permette di scrivere attorno ad una canzone ha unito le due cose. Quando poi si è trattato di scegliere il brano, beh, non ho avuto alcun dubbio su “Odio l’estate”.
Anche perché appunto, nel mondo la conoscono tutti…
E’l’unica canzone italiana considerata uno standard jazz internazionale e tutti i più grandi del jazz l’hanno cantata. Si pensi a Joao Gilberto, che ne ha fatto un successo nel mondo, ma anche a Tooth Tielemans, Chet Baker, Michel Petrucciani. E in Italia è una canzone che ha unito generazioni. Nel libro ne parla Vinicio Capossela, che ha fatto la prefazione, ma anche Jimmy Fontana, il primo a cantarla dopo Martino ma ci sono anche testimonianze di artisti come Fabrizio Bosso, che ha 36 anni, Sergio Cammariere, che è nato quando è nata la canzone, a Renato Sellani, amico di Bruno Martino.
Nonostante questo e nonostante la popolarità della canzone, Bruno Martino non ha riscosso il successo che avrebbe meritato nel mainstream
Bruno Martino, con la sua musica “confidenziale” ha uno stile che resta di nicchia, che non fa “numeri”. Anzi, negli anni’60 quando ha cominciato ad andare di moda il beat, quei suoi arrangiamenti retrò non gli hanno permesso di esplodere. Ma lui ha sempre continuato a suonare, sino alla fine. Nelle biografie c’è scritto che la sua ultima apparizione è del 1993, ma non è vero: ha suonato sino alla sera di Capodanno del 2000, sei mesi prima della sua morte.
E poi c’è il Bruno Martino uomo, raccontato dalla moglie Fiorelisa Martino
Paola De Simone
Lei è molto riservata, come il marito ed all’inizio aveva declinato il mio invito. Poi ha capito la bontà del progetto ed è venuta a casa mia: abbiamo trascorso una mattinata bellissima, nella quale mi ha raccontato un rapporto di 30 anni che ha lasciato un segno indelebile nella sua vita. Bruno Martino era un uomo riservato timido, quanto invece la sua musica era divertente. Probabilmente suonare gli dava la carica e lo stesso facevano i suoi musicisti. Su tutti Bruno Brighetti, autore delle parole di “Odio l’estate”: oggi non suona più e da 44 anni vive in Africa: è uno showman, una persona allegrissima. Bruno Martino invece era un uomo coltissimo, un intrattenitore. Lo chiamavano “enciclopedia”, era persona di grande cultura con la quale potevi parlare di tutto. La musica era il suo modo per comunicare.
Un libro ed una canzone che riportano all’attenzione il jazz, un genere sempre troppo poco sotto le luci della ribalta.
Piano piano in Italia si sta riscoprendo. Dico in Italia, perché nel resto del mondo invece è sempre al centro dell’attenzione. Oggi, grazie alle contaminazioni con il pop ce lo troviamo dentro casa ogni momento, si sta facendo largo. E il fiorire di manifestazioni musicali dedicate al jazz che c’è nel nostro paese e l’alta affluenza di pubblico, sono il segno che comunque questo genere musicale è in grande crescita. Del resto, il jazz è anche difficile da definire, è così vario ed aperto che si presta a tantissime contaminazioni. Penso ad una frase del film “Il pianista sull’oceano”, quando uno dei protagonisti sente una musica e si chiede cosa sia e gli rispondono: “Se non sai cos’è, è il jazz”.
Ne avevamo parlato qualche giorno fa in relazione al nostro post su “Le tube de l’étè“. Ma di Isabelle Geoffroy, in arte Zaz, è bene tornare a parlare perchè il suo album omonimo è una vera perla. Jazz e swing incastrati nel pop, suonati e cantati con la giusta leggerezza, quella che sta in testi come “Je veux”, il singolo che sta spopolando in Francia in queste settimane e del quale sopra vi proponiamo la versione live.
Delizia per le orecchie, non senza originalità: la tromba con la sordina da noi l’aveva rilanciata Arisa in Malamorenò ma qui siamo su altissimi livelli. L’album, si diceva. Se amate anche solo un pò le sfumature swing, non potete fare a meno di averlo con voi. “La Fée”, un pò canzonetta retrò un pò canzone d’autore, oppure “Les passants“, sicuramente di nicchia. Tanto per cominciare.
La leggerezza pervade tutto il lavoro, uno straordinario senso di libertà. “J’aime à nouveau” ne è un esempio. Ancora dall’album, ecco “Trop sensible”, “Port coton”, oppure, per andare sullo swing più netto “Prend garde à ta langue” o anche “Ni oui ni non“, che strizza l’occhio anche a suoni più d’antan. O ancora “Eblouie par la nuit”. Fino a “Dans ma rue”, lamento di una prostituta, omaggio alla grande Edith Piaf che la cantò per prima. Un esordio davvero da applausi. Come da applausi sono Germano e Mister T, i suoi musicisti.
Un altro grande appuntamento per gli appassionati della musica di qualità, ancora una volta dall’Umbria. Dal 10 al 25 agosto prossimo Gubbio ospiterà l’ottava edizione di Gubbio No Borders-Italian jazz festival sotto la direzione artistica di Massimo Manzi. (nel video sopra, una esibizione della manifestazione, anno 2006)
Il responsabile organizzativo, Luigi Filippini, presidente dell’Associazione culturale Gubbio No Borders che organizza l’evento ha sottolineato che “l’immagine del festival dopo otto edizioni è accreditata come una delle massime espressioni musicali dell’Umbria e d’Italia, che si qualifica per il suo grande spessore con musica di alto livello che si coniuga con lo scenario del chiostro grande del ex monastero di San Pietro sede dei concerti, del Teatro Romano e delle vie del centro storico”.
In particolare Filippini ha sottolineato come caratterizzanti siano in questa edizione le voci femminili di Linda, che aprirà la manifestazione con il Kramer project della Renzo Ruggieri Big Band, di Monica Hill, con la P-Funking band, e di Joanna Rimmer, con un trascorso nel campo della moda, che si esibisce in concerto.
Il cartellone comprende sette concerti, tre street parades, e si presenta articolato nella sezione Terra Mia, che propone artisti non ancora pienamente affermati accanto ad altri musicisti di jazz invitati, la sezione cinema, dedicata al film The piano blues, di Clint Eastwood, e la sezione musica d’autore, con un concerto di chiusura del 25 agosto di Eugenio Finardi, al Teatro Romano.
Un cast di grande livello, dunque. Fa piacere soprattutro risentire dal vivo voci di notevole spessore come quelle di Linda, terza a Sanremo 2004 (della quale avevamo parlato di recente) e della sammarinese Monica Hill, una delle artiste migliori prodotte dal talent show Amici (la prima edizione, quando ancora si chiamava “Saranno Famosi“).
Questo post è dedicato a coloro che pensano che dai talent-show (non dai reality: “Amici” è un reality, “X factor” è un talent) musicali non venga fuori niente di valido. La musica ormai, quella nuova, quella dei giovani in rampa di lancio, è invece destinata a passare sempre più dalla tv. Triste, se vogliamo, perchè vuol dire che le porte principali sono chiuse dai “senatori”, ma spesso le porte di servizio sono migliori.
Quentin Mosimann ha 20 anni è nato in Svizzera da mamma elvetica padre francese. Ha vinto “Star Academy” 2008, il talent francese e adesso sta sbaragliando le classigfiche col suo primo ablum “Duel“. Pop di plastica? Nemmeno per idea, perchè Quentin ha una voce jazz e la sfrutta, suona benissimo il pianoforte e l’album è un capolavoro, cantato in tre lingue diverse, italiano compreso.
Doppio album, completamente jazz da un lato e completamente elettropop dall’altro, ad unire le sue due radici musicali (Mosimann è anche un dj:si faceva chiamare John Louly). L’unico inedito per ora è “Chercher le garcon”, che potete sentire in alto (qui invece la versione remix). Il resto sono cover di brani di anni ’80, proposti a volte in entrambe le versioni. Ma a fine 2008 uscirà un lavoro completamente di brani nuovi.
Qualche esempio delle cover? Ascoltate quella electro di “Il mio rifugio” di Riccardo Cocciante oppure, per chi si ricorda l’orginale (che sta qui) quella straordinaria jazz di “C’est la ouate” , mitico inno alla pigrizia firmato Caroline Loeb (qui c’è anche quella elettro, per i patiti del tunz tunz).
E che dire della storica “Such a shame” dei Talk Talk (ah, come sono vecchio!)? Facciamo il confronto. Qui c’è quella originale, qui invece il remix di Mosimann. peccato invece non aver trovato in rete le sue due versioni di un altro pezzo storico della dance anni’90, vale a dire “Etienne” di Guesh Patty.
In compenso, abbiamo trovato “Je l’aime à mourir“, lanciata nel 1979 da Francis Cabrel:qui la versione jazzata di Mosimann e qui l’orginale dello chansonnier francese. Davvero un album sublime. Risentiremo parlare di questo ragazzo. Ma senza “Star Academy” non l’avremmo mai conosciuto…
Potere della dolcezza. “Pictures”, il terzo album di Katie Melua è una di quelle cose che ti restano dentro. Del resto, se questa cantante nata in Georgia, a Tbilisi e trapiantata in Gran Bretagna per amore della musica, continua a ricevere consensi, non è un caso.
Testi dolci ma ricercati, d’amore senza essere banali, melodie leggere e d’atmosfera ed una voce sensuale e delicata. Sembra strano (o forse no, considerando l’Italia), ma questo lavoro da noi non ha sfondato come nel resto d’Europa. La hit che l’ha accompagnato, “If You were a sailboat” (lo sentite in alto) distribuisce zucchero a tonnellate eppure la sensazione che resta dentro non è la pesantezza di chi ne ha abusato.
Ma anche gli altri brani sono lontani dal pop tradizionale e strizzano l’occhio alla musica d’autore, senza essere “pesanti”. E’ il caso di “If the light goes out”, che è anche il secondo singolo estratto dall album, da poco uscito. In “All in my head”, riecheggiano le atmosfere jazz che stanno alla base della sua formazione musicale.
In “Mary Pickfords (uses to eat roses)” si fa il verso ad un’attrice degli anni’30 popolare nei film di Charlie Chaplin. Di grande atmosfera anche “What I miss about you“. Nelle prime versioni rilasciate su ITunes, oltre alle 12 tracce ufficiali ce n’era anche un’altra, “Under the cherry moon”. Un lavoro di grande qualità che merita di essere ascoltato. Molto belli anche i video, assolutamente originali. Lei poi è bella e fotogenica, ma questo è un altro discorso.
Questo articolo è un estratto dall’intervista che il sottoscritto ha effettuato a Paolo Belli al termine del concerto tenuto la sera di Ferragosto a Lugnano in Teverina, pubblicata sul quotidiano “Il Giornale dell’Umbria”.
Paolo Belli e la sua big band. Lo swing nell’anima ed una missione. Anzi due. Far conoscere questo tipo di musica a chi è poco avvezzo ad essa e allo stesso tempo tenere sempre vivo il ricordo dei successi italiani ed internazionali.
Perchè durante lo spettacolo le canzoni – i suoi successi con i Ladri di biciclette, i tanti jingle per tv e pubblicità, i grandi classici dello swing internazionale rifatti in chiave italiana, Modugno e Buscaglione “jazzizzati”, si alternano con un continuo coinvolgimento del pubblico con gag improvvisate o situazioni ben studiate a tavolino per “scaldare” l’ambiente.
La musica però è sempre al centro, Suonata da un’orchestra superba nella quale spiccano cinque musicisti umbri (su dodici: Enzo Proietti, Daniele Bocchini, Paolo Costantini, Peppe Stefanelli, Pierluigi Bastioli). “E’stata una scelta meditata – spiega l’artista emiliano – perchè in Umbria c’è una grande scuola per questo genere di musica. Io ho voluto con me i migliori sulla piazza, questi cinque e tutti gli lo sono. Anche per questo durante i concerti faccio esibire tutti i componenti dell’orchestra con degli assoli. Dicono che sia una cosa provinciale, ma non mi importa: la mia Big Band è il mio orgoglio”.
La gente ha risposto alla grande alle sue sollecitazioni: “Anche stavolta è successo quello che ci capita ogni sera in giro per il mondo – spiega – cioè che la nostra musica ha portato comunione di vibrazioni ed emozioni. E’questa la cosa che mi interessa, che il pubblico partecipi ed apprezzi. Pazienza se questo tipo di musica non passa nelle radio. E’un problema loro, non mio”.
Anche le canzoni in scaletta sono frutto di una scelta precisa: “La mia è una sorta di operazione recupero – conclude Belli – ci sono brani che fanno parte del patrimonio del jazz e dello swing internazionale e non è bello che vadano persi. Riproponendoli in italiano la gente riesce non solo a farli rimanere nella loro testa ma anche a farli un pò propri. Quanto a Buscaglione e Modugno, beh non hanno certo bisogno di presentazioni”. Sotto, dieci minuti con Paolo Belli e un momento da un suo spettacolo.
Sostiene la partecipazione di Italia e San Marino all'Eurovision Song Contest. Sempre e comunque.
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